Io sono il guardiano
I Personaggi

Ikkyo
Cos’è mai questo termine?
È giapponese. Ed è il nome del protagonista. Sì, il Guardiano, si chiama così (lo trovate nel primo capitolo, proprio all’inizio). Ma lasciamo che sia lui a presentarsi.
“Già, mi chiamo Ikkyo. Ikkyo Capolicchio. E sì, mio padre era spiritoso. Ed era anche un fanatico di Aikido. Ikkyo è appunto una leva dell’Aikido. Se andate su youtube potete vederla (basta scrivere aikido ikkyo). Mio padre mi ha sfranto i cosiddetti per tutta l’infanzia. Mi portò sul tatami a sei anni e voleva che diventassi un maestro. Ma io non amo l’Aikido. Io pratico Tai Chi Chuan.”
Il Tai Chi, nome con cui è comunemente conosciuto, è tutt’altra cosa. Non ci sono prese, leve. Non c’è il combattimento con l’altro. Esiste solo il combattimento con sé stessi. È il combattimento con le ombre. E, nella pratica marziale, che è anche una meditazione in movimento, ci sono ombre, come nella vita. È la stessa cosa.
E nella vita del Guardiano, Ikkyo, ci sono ombre che gli si presentano, di tanto in tanto, nel cortile acciottolato di via Po 27/c, dove pratica e vive. Ombre che vede solo lui.
Ikkyo ha una storia terribile alle spalle. E un po’ alla volta la scoprirete.
Era un tizio qualsiasi, si può dire, finché la vita, come a volte accade, non lo ha stritolato tra le sue braccia che in realtà, e in fin dei conti, se uno sopravvive e si dà da fare per comprendere, sono potenti, anche spietate, eppure amorevoli.
E da quella morte, che troverete più avanti nella storia, è rinato come Guardiano del cuore di “questo luogo del cielo chiamato Torino” che, come dice Giorgio De Chirico: è la città più profonda, più enigmatica, più inquietante, non d’Italia ma del mondo.
Ikkyo è la guida del romanzo, ma nello stesso tempo è guidato. Si muove tra l’omicidio avvenuto nel Museo Egizio, e altri misteri: grandi e piccoli, feroci e mortali, lievi e fluenti. Silenziosi e pieni di musica. Drammatici e divertenti.
Come, dopotutto, è la vita.
Billy
Vi ricordate Billy Elliot, il film? La storia del ragazzino che aveva la danza nel sangue, e anzi nelle cellule? Nel romanzo c’è.
Lo trovate nel quinto capitolo. Veramente si chiama Paolo… ma ormai lo chiamiamo tutti Billy, perché da quando vide il film, è come impazzito. E salta da tutte le parti, come una danza, di cui sente la musica solo lui. Ha quindicianni, ma mentalmente ne ha sei o sette. Come dicono gli psic-qualcosa. E lui è nel cuore del romanzo. Ne fa parte. E la storia è parte di lui. Perché quella che sembra, ai più, follia, è in realtà il contatto con il non-ordinario, l’anima del mondo.
E Billy è quell’anima. Lui, suo malgrado, è la chiave di tutto. E grazie a lui, la verità sull’assassinio verrà a galla. Perché i folli, coloro che vivono in una realtà differente da quella ordinaria, loro, hanno nel cuore la verità. Una bellezza come ala di farfalla. Variegata e mutante. Che si dispiega in cerchi e volute di senso.
Fragile e potente al tempo stesso.
Perché è così, in questo luogo del cielo chiamato Torino.
Qui. È così.
Lucy (Lucille) LA BELLISSIMA
Ho messo l’immagine della Venere di Botticelli.
Ché mi sono accorto di non avere nessuna immagine di lei. Nessuna, cioè, che le rendesse giustizia. E anche la Venere, non è abbastanza.
Perché la bellezza non è solo bellezza, è modo di essere, di guardare, muovere il capo coi capelli che oscillano, di sorridere. Di fissare un punto lontano, invisibile ai più. È il modo di camminare, perfino di respirare.
La bellezza è indefinibile. In realtà.
È un modo di esistere. E anche l’inverso.
E, insomma, "ella si va sentendosi laudare, benignamente d’umiltà vestuta e par che sia cosa venuta da cielo in terra a miracol mostrare" ma nemmeno Dante basta per descriverla.
Perché Lucy, era anche una ragazza come molte, una ragazza in jeans e maglietta. Che canticchiava ogni tanto. E andava a fare la spesa. E si lamentava se pioveva sui suoi capelli inanellati, i suoi abiti firmati. E con la sua borsetta, quasi come una qualsiasi abitante di via Po 27/c.
Una qualsiasi abitante. Del mondo.
Lucy aveva 25 anni. E l’hanno ammazzata nel Museo Egizio.
E come non ci sono parole bastanti per la sua bellezza, non ce ne sono per la sua morte.
Filo spezzato. Nell’universo. Spezzato.

LA MAGA
Il suo nome d’arte è Pentesilea. Condottiera di amazzoni.
Nella vita concreta vive leggendo i Tarocchi e con cure “vibrazionali” imparate da un maestro indiano, Baba Bedi, che ha insegnato a Torino per decenni.
La Maga salva la vita a Ikkyo, il guardiano. Tirandolo fuori da incubi e follia. E questo ha creato un legame indissolubile.
E sarà una delle chiavi per scoprire l’assassino della bellissima Lucy. Uccisa spezzandole il collo, nel Museo Egizio. Tra le rocce del tempio di Ellesya.
L’incontro di Ikkyo e la Maga è epocale. E così lo racconta lui:
“Sollevai la testa e vidi un diadema sulla sua fronte. Che mi abbagliava. Che mi fece tremare. Vibrare. E lei non era più lei. Il suo viso che prima mostrava forse trent’anni. Ora sembrava solo luce. Ma luce antica. Che riverbera davanti agli occhi. E caddi in ginocchio. Perché l’avevo riconosciuta. Perché la vidi ed era lei.
Era Iside. Iside dai mille nomi. La santa e la prostituta. L’amata e la disprezzata. La saggezza e la follia sguaiata.
Era il silenzio che è incomprensibile.”
La Maga conosce ogni singolo anfratto dei sotterranei della città. E conosce anche ogni sfumatura dell’animo umano.
Ed è attraverso una ricerca sottile ed esoterica che viene identificato l’assassino. Ma, allo stesso tempo, con una logica netta come una lama di rasoio, affilata analitica e precisa.
Perché ogni cosa ha una causa. Anche se apparentemente appare, a tutta prima, impossibile a comprendersi. E, a volte, perfino assurda.
Ma quando viene svelata, abbaglia con la sua luce di Verità. E tutto diventa chiaro e netto.
Come un lampo illumina la notte.

MARIUS & LA MUSICA
È il grande amico di Ikkyo. Chiamato Marius, come una specie di latino. È vicino ai settant’anni ma non li dimostra. Insegnava lettere e filosofia quand’era giovane.
Ed è lui che spara la musica nel cortile di via Po 27/c, anni ‘60/’70 … A cominciare da (Dalla-Roversi 1973) “questo luogo del cielo è chiamato Torino lunghi e grandi viali - splendidi monti di neve - sul cristallo verde del Valentino - illuminate tutte le sponde del Po”, passando da Bob Dylan
She wears an Egyptian red ring
That sparkles before she speaks
“Lei porta un anello rosso egiziano Che brilla prima che parli…”
E da Faber ( Fabrizio De Andrè)
T'ho incrociata alla stazione
che inseguivi il tuo profumo
presa in trappola da un tailleur grigio fumo
i giornali in una mano e nell'altra il tuo destino
camminavi fianco a fianco al tuo assassino
e, in morte di Lucy, questo pezzo che non devo dirvi di chi è, a meno che siate 18/25/30 enni!
Lucy in the sky with diamonds
Ogni tanto Ikkyo e Marius si lanciano a suonare. Come racconta Ikkyo nel capitolo VII.
Io e lui. A casa sua. Lui chitarra, io batteria.
Ma senza strumenti.
Marius mette su la musica e avete presente “smoke on the water”? Quando attacca la chitarra, è Marius che suona, cioè muove le dita nell’aria ma con l’anima e la faccia ispirata, e io aspetto seduto su una sedia con le mani come se tenessi delle bacchette, aspetto che arrivi il basso e poi la batteria e allora ci dò dentro e partiamo in quarta insieme e ci dimeniamo come ossessi, finché la voce di Ian Gillan strilla insieme a noi e noi siamo loro i Deep Purple made in Japan. E andiamo avanti così tutto il tempo. Led Zeppelin whole lotta love. Rolling Stones street fighting man. King Crimson. Santana soul sacrifice. Vanilla Fudge per Elisa. Ten years after I go home with elicopter. ZZ top La Grange.
E Frank Zappa. Jimi Hendrix. Talking Heads. Matching Mole. Massive Attack. U 2.
E poi scivoliamo con Brian Eno in atmosfere diverse. Allora suoniamo organo e tastiere elettroniche. Fino ad essere stremati e lasciar andare la musica da sola. Ridendo. Stockausen. Gyorgi Ligeti. Schoenberg.
E a volte finiamo con Charlie Mingus o Thelonius Monk o John Cage, Miles Davis, Edgar Varese, Bill Evans, John Lee Hooker, Howling Wolf e company … e a volte il finale è “la gazza ladra” di Rossini, ouverture.
In ogni istante, o quasi del romanzo, c’è un accenno, un riferimento, una citazione di un brano musicale. E tutto risuona. Riga dopo riga. Nota dopo nota.
Come una grande sinfonia. E un concerto rock.

HACKER – MARCO LUDO NICCO SERENA e LIA
C’è un gruppo di ragazzi che chiamo la mia band, alcuni abitano in via Po 27/c, come me, e mi aiuteranno a sbrogliare la matassa di questo assassinio. Hanno 86 anni in cinque. Tutti minorenni eccetto Nicco che ne ha appena compiuti 18.
Due di loro sono informatici e Nicco, appunto, è il genio della compagnia.
Il punto è che un loro amico non torna a casa da troppe ore e il padre è preoccupato, perché ha ricevuto strani messaggi che sembrano di un rapimento e ricatto…
-Ma voglio specificare un paio di cose prima, caro Ikkyo.
Quando Nicco mi chiama “caro”, cosa rarissima, sta per impartirmi una lezione di terminologia elettronica.
E io lo ascolto con molto rispetto.
-Il termine hacker, in genere viene immediatamente associato a qualcosa di malvagio, brutto o pericoloso. Ma in realtà ci sono due tipi di hacker. Il “white hat” che letteralmente significa “cappello bianco”, e il “black hat”, cappello nero, o “cracker”.
-Un hacker “white hat” si concentra sulla sicurezza dei sistemi informatici, operando per la loro protezione, al contrario di un black hat. L’hacker “white hat” rispetta i sistemi, e vuole conoscerli a fondo per renderli migliori. Come noi, che siamo convinti che Internet sia un grande mezzo che permette la comunicazione di notizie in tutto il mondo da parte di tutti e senza censure. Perciò c’impegniamo nella sua difesa.
-Sì, grazie, ho capito. Ma prima stavi dicendo che si può hackerare ovunque da qui…
-Certo, basta andare al McDonald in piazza Castello, qui a due passi… ma ci sono un sacco di altri posti in città dove puoi collegarti ad un WiFi senza doverti autenticare. Ci sono diversi negozi, locali e scuole, che per semplificare la vita ai clienti e agli studenti lasciano password ridicole, come il nome del locale stesso, o termini generici come “cliente” o “password”. Per non dire di privati che per pigrizia o incoscienza, sproteggono le proprie reti wifi, per non dover inserire nessuna password sui loro vari dispositivi e quelli dei loro amici in visita, rendendola così accessibile anche a chi passa, per esempio, sul marciapiede o è parcheggiato in auto sotto casa loro.
-Questo vorrebbe dire che se non ho il mio wifi protetto, il vicino di casa può usarlo tranquillamente, tanto pago io…
-Esattamente. E usarlo gratis alla fine è il meno, poiché una volta che ti sei agganciato ad un WiFi aperto con uno smartphone rubato, per esempio, e il nostro blak hat ha sicuramente fatto così, impedisci ogni tentativo di tracciare i vari dati forniti della rete mobile, come anche tentare di risalire ad un eventuale IMEI.
Nicco precede la mia domanda.
-IMEI è un acronimo inglese e, in breve, è un codice numerico che identifica univocamente un terminale mobile, cioè un telefono.
-Però! Immaginavo potessero esistere cose del genere, ma non fino a questo punto.
-E quindi, una volta connesso ad una rete Wi-Fi è possibile mappare tutti i dispositivi connessi in quel momento e identificare quelli più vulnerabili, per poi attaccarli e hackerare, cioè ficcargli dentro un Malware. Esattamente come con un Pc. Così facendo, se ti serve, crei una serie di dispositivi “Zombie” che a loro volta costituiscono una Botnet. Che, in parole povere, è una rete composta da tanti dispositivi che sono controllati a insaputa dei proprietari, da una terza persona che può appunto controllarli ed usarli per diversi scopi, ovviamente non leciti…
-Ho capito, più o meno. Quindi il nostro hacker ha usato un wi-fi, libero e gratuito, per mandargli i messaggi senza poter essere identificato. Però non ce lo vedo Rizzi al McDonald…
-Come ti ho detto, può averlo fatto in qualunque luogo, bastava che fosse connesso.
-Ma non devi sapere il numero dello smartphone?
-Per hackerare un dispositivo il numero non è quasi mai necessario. Come in questo caso.
!!! IL LUOGO DEL FEMMINICIDIO – MUSEO EGIZIO di Torino !!!
Dove il tempo non esiste. Dove sculture in granodiorite mostrano la vita di millenni. Memoria e non memoria.
Lì, viene strappata la vita di Lucille, Lucy per tutti.
Il collo spezzato. Come una bambola ritorta. Bellissima e irraggiungibile.
Nel Museo Egizio di Torino, secondo al mondo solo a quello del Cairo, tra le rocce del tempio di Ellesya, avviene lo strappo. Nel cuore di Torino, città liquida e magica e schizofrenica.
E su questo assassinio, indagherà Ikkyo, col suo amico Andretti, il VQA. Ossia il Vice Questore Aggiunto della Squadra Mobile Sezione Omicidi. Perché nella realtà, nessun commissario porta avanti indagini in un caso di omicidio.
E le forme e le ombre del Museo sono il contorno e il nesso fondamentale, per cogliere la verità. Ci vorrà molto lavoro, molta attenzione e lucidità. Ma anche la capacità di Ikkyo e della Maga di percepire una realtà misteriosa, nascosta, tra le ombre egizie e nelle pieghe dell’esistenza di tutti quelli coinvolti.
La ricerca è come una danza. Come quella di Billy e quella lenta del Tai Chi, che raccoglie i fili e li collega uno alla volta, nella sequenza corretta. Fino alla soluzione, dopo mille misteri e grovigli.
Dopo che la verità si è mostrata come fantasma nelle gallerie sotterranee, e nel cortile di via Po 27/c.
Dopo barlumi, sospetti, incomprensioni, passaggi ostruiti e scie di senso.
Dopo mille parole e musiche e canzoni che accompagnano ogni gesto, ogni respiro. Ogni sospetto.
Perché è così. Qui, in questo luogo del cielo chiamato Torino.
Qui. È così.
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